L’illusione dell’etere
Viviamo in un’epoca in cui chiedere qualcosa a un’intelligenza artificiale è diventato naturale quanto inviare un messaggio o fare una ricerca su Google. Chatbot conversazionali, assistenti virtuali, sistemi di raccomandazione e modelli generativi rispondono in tempo reale a milioni di richieste ogni giorno.
Ma dietro questa apparente leggerezza si nasconde un peso: ogni domanda ha un costo ambientale. Anche visitare una pagina web non è sempre un’operazione leggera, soprattutto nel caso di siti dinamici: il server esegue script (es. PHP, Node.js), effettua interrogazioni al database, seleziona e compone contenuti personalizzati (testi, immagini, suggerimenti) e infine invia la risposta all’utente. Il tutto richiede risorse computazionali e banda di rete.
Tuttavia, l’interrogazione di un modello AI generativo come ChatGPT o Claude introduce un carico nettamente superiore. Mentre un sito dinamico esegue codice relativamente leggero per recuperare e assemblare contenuti, un modello AI calcola ogni parola in tempo reale, attivando milioni (o miliardi) di operazioni in floating point su GPU specializzate. Questo comporta un ordine di grandezza superiore nel consumo energetico.
Ogni singola richiesta, per quanto innocua, contribuisce a un consumo energetico globale che non possiamo più ignorare.
Dove sta il consumo reale
L’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale è il primo e più evidente punto critico. Addestrare modelli come GPT-4, PaLM o Claude richiede settimane (o mesi) di calcolo distribuito su decine di migliaia di GPU.
Secondo uno studio dell’Università del Massachusetts Amherst, l’addestramento di un singolo grande modello può emettere quanto cinque auto a benzina in tutta la loro vita utile. E parliamo solo dell’addestramento iniziale.
Ma anche la fase di inferenza, cioè ogni nostra semplice domanda a un modello già addestrato, ha un costo.
Secondo alcune stime, una singola richiesta può consumare tra 0,5 e 4 Wh (l’equivalente energetico di accendere una lampadina LED per 1–2 ore) a seconda della complessità del modello e della sua efficienza. Una quantità apparentemente trascurabile, finché non la moltiplichiamo per milioni di utenti attivi ogni giorno.
Il problema non è la singola domanda: è la scala
Come spesso accade in ambito ecologico, non è il gesto individuale ad avere un impatto rilevante, ma la scala industriale del fenomeno.
Se milioni di persone chiedono contemporaneamente “scrivimi una poesia come Dante”, il carico computazionale che si attiva in background è paragonabile a quello di un’intera infrastruttura cloud in piena attività.
Inoltre, man mano che i modelli diventano più potenti, cresce anche il loro consumo energetico. La corsa all’intelligenza artificiale sta diventando una corsa alla potenza computazionale.
Il paradosso è evidente: più efficienza, più utilizzo, più impattto.
Cosa possiamo fare come professionisti tech
Non siamo impotenti. Chi lavora nel settore informatico può (e deve) giocare un ruolo attivo.
Ecco alcune linee guida che applico e consiglio:
1. Valutare sempre il “bisogno reale” dell’intelligenza artificiale
Dire che in un progetto si utilizza l’intelligenza artificiale sicuramente permette di vendere di più e meglio. Ma la domanda chiave da porsi è: “Questo uso dell’AI serve davvero o è solo effetto moda?”
Usare un modello generativo deve essere l’ultima opzione, non la prima. Prediligere soluzioni più leggere (regex, filtri logici, modelli piccoli), e procedere solo quando l’AI porta un valore superiore al costo computazionale e ambientale.
2. Scegliere fornitori e infrastrutture con criteri ambientali chiari
Valutare cloud provider non solo per prestazioni o prezzi, ma anche per uso di energia rinnovabile, raffreddamento sostenibile, presenza di data center locali (per ridurre latenza e trasporto dati).
Ad esempio, i server che utilizziamo per ospitare i siti web che realizziamo sono alimentati con energie rinnovabili.
3. Educare gli utenti e i clienti alla sobrietà digitale
L’utente finale spesso percepisce l’AI come magia gratuita. Comunicare con trasparenza che ogni azione digitale ha un costo. Favorire comportamenti consapevoli, come evitare richieste ripetute, riformulazioni inutili, o sessioni lasciate aperte.
Una UX sostenibile include anche design comportamentale.
4. Formare una cultura aziendale dell’efficienza, non solo della performance
Un’organizzazione moderna non dovrebbe ragionare solo in termini di tempo di risposta, throughput o benchmark. Ogni sviluppatore, product manager o designer dovrebbe essere sensibilizzato alla scarsità delle risorse computazionali.
Workshop, policy interne, strumenti di misurazione e cultura condivisa aiutano a creare un’organizzazione che considera l’efficienza non come ottimizzazione tecnica, ma come responsabilità morale.