Dove finiscono i tramonti che abbiam visto da soli?
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Dove finiscono i tramonti che abbiam visto da soli?

Nel mondo della programmazione esiste un rito di passaggio che accomuna ogni sviluppatore, dal neofita al professionista: scrivere il primo programma che stampa sullo schermo le parole “Hello, World!”.

È una frase semplice, quasi banale, ma carica di significato. È come dire: sto imparando a comunicare con la macchina, e questa è la mia prima parola.

Inizia tutto da lì.

Prima c’era il silenzio, il buio. Poi improvvisamente un output, un segno di vita.

Hello World, versione Pinguini

Quando ho scoperto che il nuovo album dei Pinguini Tattici Nucleari uscito a dicembre 2024 si intitola proprio Hello World, non ho potuto non sorridere.

Da informatico, è un titolo che mi ha colpito subito. Da ascoltatore, mi ha incuriosito ancora di più.

Poi ho acoltato il testo della canzone che dà il nome all’album. E ho capito che non si trattava di un riferimento casuale.
 

“All’inizio ero solo, a cantare nel buio / E forse a volte stonavo, però / Non sentiva nessuno”

 

Queste parole, per me, sono il corrispettivo esatto di quel primo script scritto in un editor vuoto. Un’espressione fragile, incerta, che cerca solo di esistere. E quando la voce narrante incontra qualcosa – Dio, un alieno, un robot – improvvisamente entra in un coro. Diventa parte di qualcosa di più grande, come un software che non vive più da solo ma interagisce, comunica, si collega ad altri sistemi.

L’“Hello World” dei Pinguini è un grido che emerge dal silenzio, un modo per dire: Eccomi! Finalmente mi senti?!

Dove finiscono i tramonti che abbiam visto da soli?

Questa frase, che dà il titolo al mio articolo, è una delle più poetiche dell’intero brano.

E per me ha un significato profondo.

Parla di tutte quelle cose belle, autentiche, ma vissute in solitudine. Un tramonto non condiviso, una scoperta che resta dentro, un’idea che non viene mai detta ad alta voce.

Nel nostro mondo – quello dell’informatica, ma anche quello della vita – condividere è un atto che dà senso alle cose.

Un codice scritto ma non eseguito è come una canzone mai cantata.

Un tramonto bellissimo, se nessuno lo vede con te, resta un po’ incompleto.
 

Ecco perché quel “Hello World”, che sia su una console o in una canzone, diventa un gesto di apertura.

È il momento in cui smetti di essere solo e provi a entrare in connessione.

Il mio primo Hello World

Ricordo ancora il mio primo “Hello World”. Era sul Commodore 64, scritto in BASIC, copiato da una rivista. Non avevo idea di cosa stessi facendo: digitavo quelle righe con attenzione maniacale, sperando di non sbagliare nemmeno un carattere.

La sintassi era semplicissima:

 

10 PRINT "HELLO, WORLD!"
20 GOTO 10
 

Poi premevo RUN e… boom: HELLO, WORLD! che scorreva all’infinito sullo schermo.

Un momento minuscolo, ma che mi ha cambiato la vita. Perché da lì ho capito che potevo scrivere qualcosa che il computer avrebbe eseguito. Non era solo tecnologia, era linguaggio.

Ed è proprio questo che mi ha fatto apprezzare ancora di più l’album dei Pinguini. Perché, alla fine, la musica e la programmazione non sono poi così lontane. Entrambe parlano linguaggi formali, entrambe cercano di esprimere qualcosa, ed entrambe hanno senso solo se qualcuno le ascolta, le legge, le vive.

Oggi, riascoltando quella canzone, mi è venuto da chiedermi: dove finiscono i tramonti che abbiam visto da soli?

Forse in qualche riga di codice dimenticata. O forse in una canzone che finalmente riesce a dire per noi ciò che non avevamo trovato le parole per dire.

 

E allora sì:

Hello World!

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